È finito agosto e ancora non abbiamo parlato delle cipolle, bulbi che, seppur disponibili tutto l’anno sia italiani da serbo sia importati dall’estero, vengono raccolti principalmente in questo mese. La tradizione gastronomica italiana è zeppa di preparazioni tradizionali che ne prevedono l’uso come ingrediente principale e non soltanto come insaporitore dei soffritti, dei sughi e dei brodi. Per questo, nei secoli, insieme alle ricette si sono sviluppate una miriade di varietà locali che sono così diverse tra di loro per forme e gusti da costituire veri e propri mondi a sé.
Il valore della biodiversità
Il recupero di questi ecotipi, talvolta di grande successo come nel caso della rossa di Tropea o altre Dop e Igt, è avvenuto soprattutto negli ultimi 10-15 anni, quando in verità prima tutta questa biodiversità si stava letteralmente perdendo, confinata in piccoli centri dove solo gli anziani ne perpetuavano la coltivazione. Il lavoro di salvaguardia ha avuto un grande impulso grazie anche a Slow Food e ai suoi Presìdi, cui è riconosciuto il fatto di non aver soltanto salvato alcune cipolle antiche, ma di averle fatte conoscere e riscoprire in tutta Italia, con le ricette che si portano dietro. Sono cipolle perfette da mangiare crude in insalata, perché dolci e non acidissime come quelle che importiamo (in particolare dal Nord Europa), delicate e ricche di sfumature gustative.
Alla scoperta dei Presìdi Slow Food
Mercoledì 8 settembre uscirà in libreria l’atteso Atlante gastronomico dei Presìdi Slow Food (già disponibile sullo store di Slow Food Editore), un’opera unica che racconta ben 349 piccole eccellenze enogastronomiche e le comunità di produttori che ogni giorno si impegnano a tutelarle e promuoverle. Sfogliando il volume scoprirete ben dodici varietà di cipolle: la cipolla bionda di Cureggio e Fontaneto in PIemonte, quella di Cavasso e della Val Cosa in Friuli Venezia Giulia, la rossa di Breme in Lombardia, la belendina di Andora in Liguria, la rossa piatta di Pedaso nelle Marche. E ancora la cipolla bianca di Fara Fillorum Petri in Abruzzo, quelle di Airola, Alife e Vatolla in Campania, la pugliese rossa di Acquaviva, di Giarratana e paglina di Castrofilippo in Sicilia. Ognuna profondamente diversa dall’altra e sempre associata a piccoli Comuni o borghi. È proprio qui che sta la ricchezza di una biodiversità italiana ancora da scoprire nonostante si sia già fatto tanto per preservarla.
Idee in cucina
E allora cercatele anche nei vostri paesi o nelle vicinanze e potrete provare piatti straordinari: come metterle semplicemente sulla brace o sotto do essa, avvolte nella stagnola, per una cottura che le rende ancor più dolci e tenere (se poi ci mettete sopra un bel miele saranno da sturbo), o da fare al forno, magari ripiene della loro polpa con carne o altre verdure. Oppure lanciatevi nelle “cipollate” che non sono altro che una lunga cottura nel coccio a cui si può anche aggiungere il formaggio sopra, stesso principio di lunga cottura per la mitica genovese tipica di Napoli e della Campania, per il quale una cipolla comune da supermercato non sortirà mai lo stesso effetto delle varietà locali.
Carlo Bogliotti, c.bogliotti@slowfood.it
Da La Stampa del 28 agosto 2021 (riadattato)
2 commenti
Le cipolle ricche di quercitina un flavonoide molto importante per la salute.
Conosco e coltivo una varietà di cipolla rosa/viola, piatta, di dimensioni notevoli, peso medio 700 gr. Di sapore dolce e molto ricca di acqua. Si semina in agosto di luna calante e si trapianta ad ottobre/novembre con raccolta in luglio/agosto. L’unico difetto è che germoglia prima delle cipolle classiche (da ottobre in poi), ma si conserva bene tritata in freezer. La coltivo in comune di Maissana (La Spezia) dove viene coltivata anche una analoga che viene venduta a Pignone (La Spezia).
Viene venduta anche nei comuni costieri (Lavagna, Sestri Levante ecc) perché molto apprezzata per il sapore, ottima anche sulla pizza con sotto un velo di passata di pomodoro.
Saluti