Moltissimi sono i dolci tradizionali che caratterizzano le tavole degli italiani durante le festività natalizie. Tra questi merita un posto d’onore l’immancabile panettone: soffice, profumato e dall’inconfondibile forma a cupola. Ma quanti ne conoscono la storia (tra verità e leggenda)? Ce la racconta Oscar Farinetti, con il contributo di Alberto Balocco, nel suo libro Serendipity, che raccoglie successi gastronomici nati per caso o per errore.

Per comprendere la storia del panettone occorre immergersi nell’atmosfera di Milano della fine del Quattrocento. Siamo nel periodo di passaggio tra il Basso Medioevo e il Rinascimento, di cui Milano, insieme a Roma e soprattutto a Firenze, fu protagonista. La città lombarda era, a quel tempo, la più ricca e importante d’Europa. Certamente più di Firenze e Roma, ma anche di Parigi e Londra, una meta ambita dagli artisti e dagli uomini di finanza di tutto il continente. A governarla vi era la famiglia Sforza, in particolare Ludovico Maria, detto il Moro, che da semplice reggente era da poco finalmente diventato duca.

Prima che ciò avvenisse vi erano stati un po’ di scombussolamenti in famiglia ma sorvoliamo su questo, non è indispensabile per la nostra storia. Il fatto importante è che a partire dal 1494 il duca di Milano divenne lui, il tipo d’uomo che amava organizzare banchetti memorabili e grandi eventi per i propri ospiti. Fu proprio in una di queste cene, esattamente la cena di Natale, che nacque il panettone, ovviamente per sbaglio!

Ludovico il Moro amava circondarsi di grandi artisti e architetti e aveva in progetto di rendere ancora più bella Milano grazie a nuovi edifici, chiese, affreschi e a una sorta di piano regolatore che avrebbe migliorato la rete di canali attraverso i quali si circolava in città. Per questo aveva chiamato Leonardo da Vinci e sempre per questo si avvaleva dei geniali progetti architettonici del Bramante. (…) È molto probabile che a quella cena di Natale, oltre ai nobili, ai finanzieri e alle famiglie che contavano, fossero presenti anche gli artisti. In particolare, mi immagino Leonardo con i suoi marchingegni: macchine inventate per stupire con giochi di magia e allietare i fastosi banchetti del duca. In cucina intanto erano al lavoro i migliori cuochi reperibili sul territorio e le portate erano molteplici e ricche: selvaggina, pesce, verdure e poi dolci, tanti dolci.

Il maestro chef infornò personalmente il dolce principale e, avendo tutti i suoi cuochi impegnati nel completamento di altri piatti, chiese a uno sguattero di controllarne la cottura, e di estrarlo dal forno a legna al momento giusto. Quello sguattero si chiamava Toni, diminutivo milanese di Antonio.

Fermiamoci un attimo e spendiamo poche parole per raccontare una serendipity molto antecedente, senza la quale oggi non potremmo realizzare la nostra specialità natalizia: la lievitazione. Si racconta che nell’antico Egitto fu lasciato un pezzo d’impasto crudo per il pane azzimo sotto il sole e che questo iniziò a fermentare gonfiandosi. Provando a cuocerlo, gli Egizi scoprirono un pane più leggero, fragrante e buono. Ecco fatto! Era nato il primo pane lievitato con la pasta madre..

Ma torniamo a Toni. Il giovane sguattero, in realtà ambiva a diventare cuoco e quel giorno, durante i preparativi del banchetto, si era lavorato un proprio impasto innovativo, composto di farina, burro, uova, scorza di cedro e uvetta. Lo aveva fatto, oltre che per sperimentare, perché in prossimità del Natale era concesso ai poveri produrre un pane ricco e soprattutto a base di farina di frumento, come solo le famiglie agiate potevano permettersi; poi in quella sontuosa cucina le materie prime non mancavano. Già che c’era ne impastò una quantità notevole. Una parte se la sarebbe portata a casa, per cuocerla il giorno dopo e offrirla ai genitori, un’altra l’avrebbe donata ad altri sguatteri che lavoravano assieme a lui e, va da sé, ugualmente poveri.

Davanti a quel forno a legna, impegnato a controllare la cottura del dolce, Toni probabilmente si addormentò, oppure si distrasse soltanto, fatto sta che un forte odore di bruciato invase la cucina: il dolce era perduto. Nella concitazione del momento, se Toni era disperato, lo chef era in preda a un’ira furibonda. Il piccolo sguattero ebbe allora un’idea, forse l’unica che poteva avere in quel momento: mostrò il suo impasto e lo offrì alla brigata dei cuochi come alternativa al dolce bruciato. Lo scetticismo era generale, quel misto di scorze di cedro e uvetta, che nel frattempo era lievitato, appariva strano, ma non c’erano alternative e poi mancava il tempo di prepararne un altro. Lo chef infilò un dito in quella massa lievitata e lo mise in bocca: non era poi così male. La divisero quindi in parti che modellarono a cilindro, le infornarono in tutta fretta e, appena cotte, le servirono ancora calde.

Tutti i commensali ne furono entusiasti, come pure il padrone di casa. Ludovico chiamò lo chef per avere conto di quella novità così succulenta. Il maestro di cucina non volle mentire, raccontò la verità chiamando Toni fuori dalla cucina e presentandolo alla nobile platea. Immaginate l’imbarazzo di quel ragazzo milanese, fino a un momento prima considerato uno sguattero. Fu così che nacque il pan del Toni.

Da pan del Toni a panettone l’evoluzione semantica fu naturale. Tuttavia, occorse qualche secolo perchè il panettone diventasse il dolce ufficiale di Milano. Alla fine del Settecento la Repubblica Cisalpina incominciò a celebrarlo valorizzando il lavoro dei fornai artigianali milanesi, poi nell’Ottocento, con l’occupazione austriaca, il panettone divenne l’immancabile simbolo delle festività natalizie e iniziò a diffondersi in tutta Europa.

Questa versione un po’ romanzata non vi ha convinto? Aggiungiamo allora che, dal punto di vista storico, il lievitato festivo per eccellenza sembra essere il più fortunato dei pani dolci, ricchi e speziati nati nel Medioevo dall’usanza di celebrare le ricorrenze con la versione trasfigurata del cibo quotidiano (il pane, per l’appunto).