La scorsa settimana scrivevamo di un’Italia con climi diversi tra Nord e Sud, con un meridione in ritardo e un settentrione in anticipo, mentre oggi la situazione si sta un po’ rovesciando. Le piogge battenti nella parte alta del Paese favoriscono consumi non perfettamente in linea con la stagionalità, mentre in Sicilia temperature anche vicine ai trenta gradi forniscono già, a tutta la nazione, buone melanzane e meloni, per esempio. E i prezzi, vista la domanda scarsa, sono bassi.
Per dire, i meloni siciliani nella stessa settimana dell’anno scorso costavano il triplo di oggi, quando si vendono anche a un euro e cinquanta al chilo e sono qualità più che accettabile. In questa situazione strana e ballerina, per la quale abbiamo a disposizione finocchi, broccoletti e addirittura cipolle (provengono dall’India, le scorte nazionali sono finite in attesa delle nuove) molto cari, possiamo rivolgere l’attenzione ad alcune chicche locali: disponibili, da favorire e salvare, sicuramente di eccellenza.
Pensiamo al mondo dei carciofi primaverili, che al di là del classico romanesco vanta una lunga teoria di varietà locali curiose e deliziose. Solo guardando al mondo dei Presìdi Slow Food ne abbiamo ben sei, tutte in produzione. Iniziamo dal Piemonte, dove uno dei più recenti Presìdi tutela il carciofo astigiano del sorì. Un ecotipo locale che si coltiva non distante dalle vigne in zone collinari, che dà capolini piccoli ma in quantità, ottimi da gustare anche crudi per gusto e tenerezza. Restando al Nord, ma andando dall’altra parte della Pianura Padana, nella laguna veneta ci sono i pregiati carciofi dell’isola di Sant’Erasmo, di un violetto cupo, anche loro piccoli e tenerissimi. In Centro, nelle Marche, c’è il carciofo di Montelupone, violetto e striato di verde, piccolo, senza peluria interna e senza spine (come tutti gli altri di questa rassegna): è detto localmente “scarciofena”.
Terminiamo poi il nostro tour in Campania, dove la ricchezza locale ci regala ben tre Presìdi: quello di Pietrelcina, abbastanza grande e coperto prima della raccolta dai contadini per diventare ancora più colorato di viola; quello di Castellammare, violetto ma più chiaro perché il capolino principale è coperto manualmente con coppette di terracotta affinché diventi più tenero e meno scuro e, infine, il particolare bianco di Pertosa (foto di copertina), quasi argenteo, grande e spettacolare sia alla vista che al palato. Che dire, al mercato, se si vuole e si cerca, davvero non ci si può annoiare.
Carlo Bogliotti,
da La Stampa del 13 maggio 2023