Mentre ci addentriamo lentamente e “meteodisordinatamente” nell’autunno siamo in piena campagna di raccolta dei porri. È il prodotto su cui vogliamo focalizzarci oggi. Una verdura non più così frequente nelle nostre cucine – almeno nella maggior parte –, sicuramente non più utilizzata al massimo per le versatili capacità che può esprimere una volta cotta.

Ci sembra che, al di là di alcuni ristoranti che continuano a usarla bene, delle classiche torte salate a base di porri, di qualche coraggioso pinzimonio o bagna caoda con le varietà giuste e dell’uso banale per il brodo, non si vada molto oltre. Questa sorta di “distrazione” verso i porri ha portato a quasi dimenticarne, o a estinguerne, alcuni degli ecotipi più pregiati, selezionati anticamente dai contadini perché molto resistenti al freddo e dunque cibo ideale per il tardo autunno-inverno in tempi in cui la distribuzione alimentare non era grande e organizzata (Gdo) ma, per l’appunto, nemmeno distratta (Gdod?).

Oggi al mercato troviamo i porri “industriali”, tozzi, grandi e molto verdi, a un euro e cinquanta al chilo, molto probabilmente nord-europei e che vanno bene giusto per il brodo. Oppure dei porri italiani più “gentili” da cucinare come ingrediente protagonista o quasi, che si comprano a due euro e cinquanta. Infine, i pregiati porri di Cervere (Cn), una delle varietà che si sono meglio rilanciate negli anni, addirittura ottimi crudi, perfetti con la trippa e in minestra, dolci, poco acri, suadenti. Spettacolari alla griglia. Vi costeranno sui quattro euro e cinquanta al chilo, ma mica per caso: provate a gustare le differenze, a capire come e dove sono prodotti e non potrete che darci ragione.

Foto: Veggie Desserts

Saltabeccando il sito internet dell’Arca del Gusto Slow Food poi abbiamo scoperto che queste varietà di porro “reduci”, che ci raccontano di un passato in cui erano molto più diffuse, non sono poche e in giro potrebbero essercene molte di più. In Italia abbiamo il porro di Nosellari, sugli altipiani Cimbri, sempre più raro e molto delicato, di cui si usano anche le foglie. Ma, spaziando, andiamo in Francia: porro mostruoso di Elbeuf, di Gennevilliers, il Saint-Victor (tutti nel Nord) e il porro blu di Solaize, che ha nobilitato molta dell’alta cucina lionese. E ci sono anche quello di Musselburgh in Scozia (ingrediente base della zuppa cook-a-leekie, tipica delle Lowlands), quello di Belortaja in Albania e il basco Elorrixoko porrua, secondo tradizione da mangiarsi a metà mattinata in zuppa con le patate. Che biodiversità, che acquolina in bocca!

Carlo Bogliotti

da La Stampa del 28 ottobre 2023